2015
21 Aprile 2015
Si è tenuto al Palazzo di Vetro l'Evento ad alto livello sulla tolleranza religiosa e la riconciliazione, convocato dal Presidente dell'Assemblea Generale, Sam Kutesa, unitamente al Segretario Generale, Ban Ki-moon, e l'Alto Rappresentante dell'Alleanza delle Civiltà (UNAoC), Nassir Abdelaziz Al-Nasser.
All'evento, articolatosi in due giornate, hanno partecipato anche esponenti delle religioni islamica, cristiana cattolica, protestante e ortodossa, ebraica, sikh, induista e buddista. Panama, Giordania, Turchia, Iraq e Mali vi hanno preso parte con rappresentanti di livello politico. Al dibattito hanno partecipato 55 Stati membri, inclusa l'Italia.
La giornata di apertura, dedicata al dibattito tra Stati membri, si è concentrata sulle strategie per il contrasto alla violenza estremista. Inaugurando l'incontro nella Sala dell'Assemblea Generale, il PGA Sam Kutesa si è soffermato sugli ultimi accadimenti internazionali, segnati dalla recrudescenza di crimini giustificati con motivazioni religiose. Per Kutesa, nell'anno dell'adozione dell'Agenda per lo Sviluppo Sostenibile, la comunità internazionale deve tornare a concentrarsi sulle cause socio-economiche del fenomeno per prevenirne un'espansione ulteriore.
Per parte sua, Ban Ki Moon, ha affermato che Boko Haram, Daesh, Al-Shaabab rappresentano tutti una nuova generazione di terroristi che si serve mediaticamente dei gravi errori commessi dai Governi nell'attuazione di politiche non inclusive.
In particolare, il Segretario Generale dell’ONU ha richiamato l'inerzia nel fornire soluzioni a problemi regionali o globali quali la povertà estrema, l'assenza di stato di diritto e la limitata partecipazione politica continua. Tutti fattori che determinano la sfiducia delle popolazioni nei confronti dei propri governanti, e che finiscono per fornire ai nuovi gruppi terroristici l’arma preziosa del consenso più o meno esplicito. Su questo punto è intervenuto anche l'Inviato Speciale dell'Unione Africana per il contrasto al terrorismo, Francisco Caetano Jose Madeira.
Intervenendo a sua volta, l'Alto Rappresentante UNAoC Nasser ha invocato l'effettivo coinvolgimento di esponenti religiosi nell'elaborazione di strategie sociali per il contrasto all'estremismo violento. Secondo Nasser al-Nasser (alto diplomatico del Qatar), la comunità internazionale ha bisogno di accordare i propri strumenti di contrasto al fanatismo, riattivando le potenzialità di persuasione e moderazione dei religiosi in ogni società.
Nel successivo dibattito ha avuto modo di intervenire anche l’Italia, per voce di un rappresentante presso la Missione permanente all’ONU. Da parte italiana sono stati richiamati i valori fondanti di una società aperta, tra cui la libertà religiosa e il rispetto di culture e identità minoritarie, tutte aventi un ruolo essenziale. E’ stato richiamato l'approccio italiano al problema dell'estremismo violento, coerente con questa premessa e ricollegato, in una prospettiva multidimensionale, all'impatto sulla stabilità regionale del Mediterraneo e al conseguente fenomeno migratorio. Altro punto centrale dell’approccio italiano è quello della difesa delle minoranze religiose ed etniche, la preservazione del patrimonio culturale e il sostegno a iniziative di mediazione contrassegnate dal ruolo attivo della società civile. E’ stato citato in proposito il caso della Comunità di Sant'Egidio.
Coerentemente, l’Italia si dichiara disponibile a contribuire al Piano d'Azione proposto dal Segretario Generale dell’ONU per la protezione delle minoranze in Medio Oriente e a sostenere l'iniziativa tedesco-irachena di una risoluzione sulla protezione del patrimonio culturale iracheno che sarà lanciata nei prossimi mesi in Assemblea Generale.
Tra gli altri interventi, si registra quello del vice premier e ministro degli affari esteri della Giordania, Nasser Judeh. Nella visione giordana, lo stallo sulla questione israelo-palestinese costituisce un perdurante serbatoio di individui pronto a ingrossare le fila dei movimenti terroristici che strumentalizzano il messaggio religioso, soprattutto tra le fasce sociali meno istruite. Anche per la Giordania, il contrasto all’estremismo e al fanatismo deve passar per la tolleranza religiosa e per la moderazione, da esercitare attraverso gli strumenti educativi e dell’informazione. Il tema dell’informazione mediatica è stato ripreso dal vice ministro degli esteri turco, Ali Babacan, che ha messo in dubbio la correttezza dell'impostazione prevalente rispetto alle efferatezze dei movimenti terroristici. A suo parere, il fatto di insistere sull'identità religiosa, nazionale o etnica delle vittime è un grave errore perché risponde alla stessa logica - alimentandola - che viene impiegata dai gruppi terroristici.
Per Il rappresentante della Turchia si riuscirà a confrontare la violenza estremista nel momento in cui si eviterà di operare riferimenti confessionali o etnici, concentrandosi esclusivamente sulla brutale violazione della dignità umana quale movente più che sufficiente a giustificarne una reazione decisa. Un approccio, questo ripreso nel successivo intervento del rappresentante della Francia.
Nel dibattito è poi intervenuto Il ministro degli Esteri iracheno, Ibrahim Al-Jaafari, secondo il quale si impone una necessità collettiva di reprimere l’ISIS/Daesh, divenuto un problema non più soltanto iracheno, ma ormai globale. Al-Jaafari ha richiamato la tradizione multiculturale e multiconfessionale dell'Iraq, che il suo governo intende difendere attraverso ingenti investimenti nell’istruzione pubblica, vista come vera e durabile soluzione per riaffermare l’identità e la memoria storia e culturale dell’Iraq.
Un analogo approccio, di intervento su diversi piani, è stato quello evocato dal delegato della Nigeria, secondo il quale è necessario investire in programmi per la corretta formazione dei predicatori ed educatori religiosi, onde evitare indottrinamenti coranici ispiratori del fanatismo. Di notevole interesse è stato l’intervento del rappresentante del Mali, Zahabi Ould Sidi Mohamed, ministro della riconciliazione nazionale, che ha difeso la natura multiconfessionale dell’islam maliano, alieno da spinte fondamentaliste e fanatiche come quelle che hanno tormentato il nord del suo Paese negli scorsi anni, prima dell’intervento di stabilizzazione guidato dalla Francia.
La successiva serie di interventi ha avuto per protagonisti i portavoce di gruppi religiosi. Tra questi la rappresentante del movimento ''I Focolari'', Maria Voce, unica donna a sedere nel Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione. Maria Voce ha in seguito illustrato le attività di assistenza promosse dai Focolari a favore dei più bisognosi in Medio Oriente, e ispirate da un approccio inter-confessionale.
In apertura della seconda giornata, il Segretario Generale Ban Ki Moon ha annunciato le sue due nuove iniziative per valorizzare il contributo potenziale della religione nel contrasto alla radicalizzazione.
Egli prevede di istituire una commissione (panel) consultiva composta da esponenti religiosi aventi il compito di formulare delle contro-narrative alla propaganda d’odio ('hate speech') e delle specificheproposte per l'integrazione delle strategie ONU in tema di mediazione e peace-building. Nel successivo dibattito è emersa una diffusa insoddisfazione degli esponenti religiosi intervenuti circa il mancato coinvolgimento nei processi di pace delle Nazioni Unite. Gli esponenti musulmani e gli ebrei, in particolare, hanno convenuto sulla circostanza che una contro-narrativa ispirata a messaggi religiosi positivi sia già esistente. Ma secondo loro sono i Governi che la ignorano colpevolmente, poiché sottovalutano le capacità di penetrazione sul terreno delle comunità religiose nella fase di elaborazione dei mandati di peace-building.
Da una prospettiva cattolica africana è intervenuto l'arcivescovo di Abuja, John Olorunfemi Onaiyekan, secondo cui se il dialogo inter-religioso rimarrà nell'agenda politica internazionale con un'accezione più culturale che operativa il suo potenziale resterà sulla carta. A suo parere, è questa la concausa della prevalenza dei fondamentalisti di ogni religione nell'arena politica e mediatica nonostante si tratti di una minoranza numericamente incomparabile rispetto alla grande maggioranza ''silenziosa''.
Il dibattito ha poi accolto l’evocazione di esempi concreti di pacificazione confessionale di società instabili. Tra questi, è stato citato quello di Giava, dove il capo della locale comunità sikh ha menzionato la creazione di scuole materne ed elementari multiconfessionali, il coordinamento multiconfessionale nelle circoscrizioni per affrontare problemi sociali con un approccio condiviso e l'istituzione di musei multiconfessionali in cui preservare memoria e analisi religiosa e di condivisione di spazi fisici. .
In conclusione, l’evento ad alto livello promosso dall’UNAoC e dal presidente dell’Assemblea Generale (UNGA) sembra aver raggiunto i suoi obiettivi solo in parte. Nel senso che finora gli stati membri dell’ONU hanno risposto con una partecipazione in tutta evidenza modesta, circostanza che non ha consentito di valorizzare adeguatamente un'iniziativa di per sé molto valida e di notevole interesse, soprattutto per la parte del dibattito in cui sono intervenuti gli esponenti delle varie religioni.
L’attenzione ora si sposta sulla concreta attuazione del Piano d'Azione e sull'istituzione del Panel consultivo di religiosi, voluto dal Segretario Generale Ban Ki Moon.